“Trattare? Non c’è tempo L’Italia scelga sole e vento”

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Venerdì, 7 Dicembre 2007

La ricetta di Brown, guru ambientalista

Non c’è più tempo per i negoziati. Il gioco è finito: occorre muoversi subito per arrivare a una società carbon neutral , cioè a un mondo capace di creare ricchezza e benessere senza alterare l’equilibrio dell’atmosfera».

Lester Brown, fondatore del Worldwatch Institute e presidente dell’Hearth Policy Institute, guarda con scetticismo alla conferenza Onu sul clima di Bali.

Ma senza un negoziato globale come si possono tagliare radicalmente le emissioni serra? «Si può arrivare a una riduzione dell’80 per cento entro il 2020, l’obiettivo necessario per disinnescare la mina climatica, a patto di non perdere altro tempo. I governi devono agire subito e c’è chi ha già cominciato. Il primo ministro della Nuova Zelanda si è impegnato, entro il 2020, a tagliare del 70-90 per cento le emissioni di anidride carbonica e a far piantare 250 mila ettari di boschi. Entro il 2040, dimezzerà la quantità di benzina utilizzata da ogni automobilista. Punterà sull’idroelettrico, una risorsa molto abbondante nel paese, e sulla geotermia per avere elettricità pulita».

Che margini può avere un paese come l’Italia che utilizza già al massimo le sue risorse idriche? «L’Italia ha molte possibilità nel campo del solare, dell’eolico anche off shore , della geotermia».

Una riconversione energetica della Nuova Zelanda pesa poco a livello globale. «Ma ci sono segnali forti anche in altri paesi. Il governo conservatore dell’Australia è stato sconfitto per le sue posizioni anti ambientaliste. Il leader dei democratici al Senato americano si è opposto a ogni nuova centrale a carbone negli Stati Uniti. Il repubblicano Schwarzenegger guida gli Stati americani che hanno fatto ricorso alla magistratura per avere mano libera nelle misure di contenimento dei gas serra osteggiate da Bush. Cinquecento città americane si sono schierate a favore del protocollo di Kyoto».

Che ruolo gioca l’Europa? «L’Unione europea è in prima linea. Ci sono paesi come l’Islanda che hanno virtualmente eliminato l’uso dei combustibili fossili e scaldano gli edifici al 90 per cento con l’energia geotermica. E molte altre cose succederanno nel prossimo anno perché i segnali che ci arrivano sono terribili ».

Si riferisce ai cambiamenti climatici descritti dal quarto rapporto Ipcc? «Quello è il quadro di partenza, ma la situazione peggiora rapidamente. Nell’artico, in una sola settimana, è scomparsa un’area di ghiacci grande due volte la Gran Bretagna. La prospettiva di una deglaciazione della Groenlandia, che porterebbe a un aumento di 7 metri del livello del mare e a 600 milioni di profughi ambientali, si è molto avvicinata: ormai non si misura più con il metro dei millenni. Il Gange si sta trasformando in un fiume stagionale, alimentato solo durante la stagione delle piogge, e questo vuol dire che salta il sistema di irrigazione ».

Meno cibo e più affamati perché aumenta la popolazione e perché aumenta la richiesta di biocombustibili. «L’obiettivo biocombustibili così come è stato impostato negli Stati Uniti è privo di senso: c’è una percentuale insostenibile di cereali destinati all’uso energetico e questo ha portato a un’ondata di aumenti di tutti i prodotti collegati a queste materie prime, compresi latte e carne. L’esasperazione delle proteste per il costo delle tortillas in Messico mostra cosa si rischia. Anche perché stavolta non si tratta di crisi alimentari episodiche: in sette degli otto ultimi anni il consumo mondiale di grano ha superato la produzione e sono state intaccate le scorte. La verità è che convertire il grano in petrolio non conviene ma i due mercati sono ormai così strettamente intrecciati che ogni aumento del petrolio si riflette in un aumento dei prezzi dei cereali».

Niente biocombustibili. Su cosa puntare allora? «Niente biocombustibili da coltivazioni intensive: possono essere ricavati dal recupero degli scarti agroalimentari. E poi ci sono le macchine ibride per sostituire quelle a benzina, l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili. Il Texas, uno stato da sempre legato al petrolio, ha programmato impianti a vento per 23 mila megawatt, è l’equivalente di 23 grandi centrali a carbone (da Repubblica)

 

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